Moacir Barbosa, il portiere del 'Maracanazo': da stella a capro espiatorio emarginato e odiato dal Brasile | Goal.com

2021-11-04 08:42:48 By : Ms. winnie sun

"In Brasile la pena massima è di trent'anni, ma io sto pagandone quasi 50 per un crimine mai commesso!" - Moacir Barbosa

"In Brasile la pena massima è di trent'anni, ma io sto pagandone quasi 50 per un crimine mai commesso!" - Moacir Barbosa

Che il calcio dimentichi in fretta è una massima ormai assodata. Ma la vicenda calcistica e umana di Moacir Barbosa è probabilmente il caso più incredibile di un errore o un episodio sfortunato possa trasformare la vita di un campione e trasformarsi in un incubo.

È stato il primo portiere di colore della Nazionale brasiliana e il più vincente della storia del Vasco da Gama, ma sarà per sempre ingiustamente ricordato per essere il portiere del 'Maracanazo', colui che subì il goal decisivo di Ghiggia e che tutto il Paese additò come capro espiatorio della sconfitta contro l'Uruguay che impedì alla Seleçao di laurearsi campione del Mondo davanti ai suoi tifosi.

Moacir Barbosa Nascimento era nato il 27 marzo 1921 a Campinas, nello Stato di San Paolo. In una società razzista come quella del Brasile dei primi decenni del XX secolo, se nascevi con la pelle nera, come Barbosa, od eri un mulatto o un creolo, è generalmente destinata a svolgere lavori umili. Così è anche per lui: gli studi gli sono preclusi e da adolescente lavora in una fabbrica di imballaggi.

L'unica valvola di sfogo è rappresentata dal calcio. attacca giocante, è forte efficace e potente ma difetta sul piano tecnico, non possedendo le tradizionali qualità del futbol bailado che si in Brasile. Inizia nel Comercial da Capital per poi passare al Clube Atletico Ypiranga. Qui l'allenatore si accorge che ha due braccia robuste e due mani rese forti dal lavoro di operaio, così decide di spostarlo nel ruolo di portiere. 

Il Vasco da Gama, uno dei club più importanti del Brasile, nel 1944 lo acquista e la carriera di Barbosa cambia, portandolo, nel giro di qualche anno, a diventare l'estremo difensore più forte di Rio de Janeiro e del Paese. A differenza della maggior parte dei portieri brasiliani dell'epoca, che non si muovevano dalla riga di porta, Barbosa era particolarmente agile e il suo punto di forza erano le prese alte sui calci da fermo. In saltova il pallone con una mano, per poi portarselo al petto e soltanto in un secondo tempo blloccarlo.

Giocava senza guanti, che da giovane non poteva nemmeno permettersi, perché, diceva, gli erano di impaccio. Il club bianconero costruisce una squadra da sogno, sicuramente la migliore in Brasile negli anni Quaranta e una delle migliori nella storia del calcio brasiliano. Il portiere Barbosa è uno dei pilastri e dei segreti della squadra che vince 4 titoli Carioca in 5 anni, laureandosi campione Statale nel 1945, nel 1947, nel 1948 e nel 1950. 

Non solo: nel 1948 il Vasco da Gama vince la Coppa dei Campioni del Sudamerica, l'antenata della Copa LIbertadores. Il trofeo è assegnato con un girone all'italiana a cui prendono parte, oltre al club brasiliano, il Nacional di Montevideo ed il River Plate, campioni nazionali di Uruguay ed Argentina, nonché i cileni del Colo-Colo, gli ecuadoregni dell'Emelec, i boliviani del Deportivo Litoral ed i peruviani del Deportivo Municipal.

Il Vasco si impone piazzandosi primo con 10 punti, frutto di 4 vittorie e 2 pareggi, precedendo di una lunghezza il fortissimo River Plate. Decisivo per il successo è proprio lo scontro diretto, che vede proprio Moacir Barbosa esprimersi ad altissimi livelli: il portiere brasiliano cala la saracinesca contro l'attacco stellare dei 'Millonarios', composto da Moreno, Di Stefano, Loustau e Labruna (tre di loro componevano la famosa 'Máquina').

Barbosa riesce addirittura a neutralizzare un calcio di rigore assegnato dall'arbitro agli argentini e calciato da Labruna. Finisce 0-0, il Vasco è campione soprattutto per merito del suo portiere, considerato una stella e un eroe. Il grande attaccante Leonidas, che era stato capocannoniere ai Mondiali del 1938, lo ribattezza 'L'uomo di gomma' per la sua elasticità.

Le grandi prestazioni di club lo portano ad entrare, fin dal 1945, nella Nazionale brasiliana. Il successo continentale con il Vasco è un po' una rivincita, dopo che Pedernera e Labruna avevano reso amaro l'esordio con la Seleçao dell'estremo difensore, visto che la loro Argentina si era imposta 3-4 il 16 dicembre 1945. Barbosa aveva preso il posto dell'infortunato Oberdan Cattani, simbolo del Palmeiras.

Il 4 aprile 1948, invece, nella seconda gara con la Seleçao, strappa un pareggio per 1-1 all'Uruguay. Nel 1949 Barbosa è il portiere del Brasile in Copa America. Manca l'Argentina e la Seleçao domina, ottenendo risultati roboanti. Il Ct. Flavio Costa getta le basi per la squadra che giocherà con chiari obiettivi di vittoria i successivi Campionati del Mondo: in attacco la stella è il centravanti Ademir, compagno di squadra di Barbosa, autore di una tripletta nello spareggio vinto 7-0 con il Paraguay.

Prima della sfida decisiva la Seleçao aveva realizzato 39 reti nelle 7 gare disputate: 9-1 all'Ecuador, 10-1 alla Bolivia, 2-1 al Cile, 5-0 alla Colombia, 7-1 al Perù e 5-1 tutti 'Uruguay. C'è tuttavia un piccolo campanello d'allarme: il Brasile perde 1-2 lo scontro diretto con il Paraguay, subendo 2 reti nell'ultimo quarto d'ora e rendendo necessario lo spareggio per l'assegnazione del titolo. 

Nessuno presterà però troppa attenzione a quel sinistro presagio, che sarà considerato soltanto un incidente di percorso. Tutto il Brasile è convinto che la Seleçao vincerà la quarta edizione della Copa Rimet, che si disputa nel Paese sudamericano e vede l'inaugurazione del nuovo Stadio Maracaña di Rio de Janeiro, teatro della finale.

Il Maracaña è uno stadio gioiello per l'epoca, i lavori di costruzione erano iniziati nel 1948 e poteva ospitare 160 mila spettatori, che, dati che sono previsti anche posti in piedi, possono raggiungere i 200 mila. Il modulo con cui il Ct. Flavio Costa imposta la squadra brasiliana è una rivisitazione del metodo, una sorta di 3-2-4-1, in cui 5 giocatori sono addetti a difendere, altri 5 ad attacca.

La difesa vede Augusto, il capitano, Juvenal e Bigode schierati a protezione di Barbosa, con Bauer, colui che scoprirà Eusebio, e Danilo centromediani. Davanti, da sinistra a destra, l'attacco 'atomico', come era stato definito: Friaça, Zizinho, Ademir, Jair e Chico. Saranno loro a vivere il dramma esistenziale dei Mondiali del 1950. I sudamericani regolano nel girone di qualificazione Messico e Jugoslavia, pareggiando con la Svizzera e staccando il biglietto per il girone finale.

Le principali rivali potrebbero, sulla carta, Italia e Inghilterra, ma si fanno male con le loro mani. Gli Azzurri bicampioni del Mondo schierano una squadra che può essere definita sperimentale. Il 4 maggio 1949, infatti, la tragedia aerea di Superga si era portata via il Grande Torino che offriva l'ossatura della Nazionale.

Dopo una distruttiva traversata dell'oceano Atlantico in nave, soccomberanno così alla Svezia di Jeppson in un gruppo a tre squadre, mentre ancora peggio farà 'I Maestri', superati dai semidilettanti degli Stati Uniti alla loro prima partecipazione ea loro volta eliminati a favor della Spagna.

A contendersi la Copa Rimet in un girone all'italiana sono, oltre al Brasile, Spagna, Svezia e Uruguay, le 4 vincitrici dei gironi. La Seleçao dà una dimostrazione assoluta di forza: grazie al suo attacco 'atomico' sommerge di goal la Svezia (7-1) e la Spagna (6-1). Resta da giocare l'ultima è decisiva gara contro l'Uruguay di Juan López Fontana.

La Celeste si era qualificata travolgendo 8-0 in una gara secca la Bolivia, e nel girone finale aveva 'zoppicato': pari 2-2 con la Spagna dopo esser stato sotto 1-2 e rimonta finale sugli scandinavi, che conducevano 1-2 , grazie ad una doppietta del centravanti Miguez. In virtù di questi risultati, al Brasile, che ha 4 punti, basta un pareggio per laurearsi campione del Mondo, mentre all'Uruguay solo la vittoria.

Proprio prima di quell'ultima partita, la FIFA gli consegna il premio di 'Miglior portiere dei Mondiali'. Un paradosso, considerato quello che accadrà in seguito.

Si gioca al Maracaña, davanti a 200 mila spettatori che aspettano soltanto il trionfo del Brasile, e nessuno mette in dubbio che ciò accadrà. I giornali addirittura esagerano, con 'Mundo' che esce il giorno della finale con le foto dei giocatori brasiliani e il titolo: "Ecco i nuovi Campioni del Mondo". 

Come da copione, il Brasile si riversa in attacco, ma l'arcigna difesa avversaria e la ragnatela orchestrata a centrocampo dal capitano, 'El Jefe' Obdulio Varela, indiscusso leader della Celeste, fanno sì che il primo tempo si chiuda sullo 0-0 . Quando però un inizio ripresa un tiro-cross di Friaça si infila alle spalle di Maspoli, il destino della partita sembra segnato. Ma tutto il Brasile non aveva fatto i conti con Varela.

'El Jefe' recupera di persona la palla in fondo alla rete e nel tragitto che lo conduce a metà campo scuote i suoi compagni di squadra, richiamando in particolare 'Pepe' Schiaffino e Alcides Ghiggia. I minuti però scorrono, e nelle tribune del Maracaña è già festa per i tifosi della Seleçao. Nessuno può prospettare cosa capiterà dopo l'ora di gioco. Al 66' Varela recupera palla a metà campo e lancia Ghiggia sulla destra. 

Quest'ultimo punta il suo marcatore Bigode, particolarmente macchinoso, va sul fondo e mette in mezzo all'indietro per Schiaffino, che calcia di prima trova e insacca imparabilmente la traversata dell'incolpevole Barbosa: 1-1. Sugli spalti piomba la tensione, il Brasile prova a rigettarsi all'attacco, ma l'Uruguay si difende con ordine, e, quel che è peggio per la Seleçao, Varela è ormai il padrone incontrastato del centrocampo.

L'incubo del portiere Barbosa e di tutto il Brasile si materializza al minuto 79: Ghiggia parte in contropiede da metà campo e si invola a grandi falcate verso la porta di Barbosa. Il portiere pensa che l'ala metterà palla al centro e fa un passo a destra che gli sarà fatale. L'uruguayano infatti, calcio rasoterra sul primo palo e piazza il pallone fra il palo e il portiere, non esente da responsabilità nell'occasione. 

Il gelo cala sul Maracaña. Barbosa, quasi, non riesce a rialzarsi, e nessuno dei suoi compagni lo aiuta a farlo. Poi calcio con rabbia il pallone in fondo alla rete. I brasiliani sono tutti cupi in volto e in preda ad un dramma psicologico. Sugli spalti c'è disperazione. Mancano 10 minuti, ma non saranno sufficienti alla grande favorita per segnare almeno un goal. Stanley Rous si affretta a consegnare la Coppa Rimet agli uruguayani senza qualunque cerimonia, visto che la banda disponeva nemmeno dello spartito dell'inno, dato che una sconfitta della Seleçao non era nemmeno presa in considerare.

Invece il Brasile ha perso il torneo che poteva soltanto vincere. È una tragedia sportiva e un dramma nazionale: in tutto il Paese sono numerosi i suicidi. Nessuno può capacitarsi che il Maracanazo, come viene definito, si sia realmente verificato. Anche Barbosa, l'eroe della Copa America 1949, aveva fallito commettendo un errore sul goal del 2-1.

Roberto Muilaert, che scrisse la biografia del portiere brasiliano, sostiene che "il goal vincente dell'Uruguay può essere paragonato al filmato di 26 secondi di Zapruder, che ha registrato l'omicidio di John Fitzgerald Kennedy. Stesso dramma, stessa dinamica, stessa precisione di una traiettoria spietata".

"E anche la nuvola di polvere che si alza al momento del tiro di Ghiggia - aggiunge - somigliava al fumo della polvere da sparo". Metaforicamente, di fatto, Barbosa è come morto interiormente. La sua vita cambierà per sempre, perché verrà additato come il principale responsabile del Maracanazo. Il popolo si dimentica di tutte le sue prodezze e scarica sul portiere e sugli altri due giocatori di colore della Seleçao Bigode e Juvenal, la propria frustrazione. 

Va trovato un capro espiatorio, e viene individuato nel portiere e nei suoi due compagni. Anche se lo stesso Ghiggia, 'il killer' del Brasile, parlerà sempre, descrivendo il suo goal, di un colpo di fortuna.

Barbosa smette di essere la stella del Vasco, 'l'uomo di gomma', e diventa per tutti, improvvisamente, "il portiere che ha fatto piangere il Brasile". Così le mamme lo addittavano quando lo incrociavano per le strade di Rio in compagnia dei loro figli.

"Lo vedi quello? - dicevano - È Barbosa, l'uomo che ha fatto piangere il Brasile".

Su Barbosa e la sua vita, inevitabilmente, cala un'ombra nera: il goal del 2-1 di Ghiggia, come un proiettile, aveva ucciso la sua anima. 

Questo non gli impedirà comunque di continuare a collaborare e di riprendere a vincere con il suo club, visto che dopo il Maracanazo conquisterà altri 2 Campionati carioca nel 1952 e nel 1958 (6 quelli totali), e il prestigio Torneo Rio-San Paolo del 1958 I titoli conquistati dimostrano che fra i pali Moacir era un valido portiere, ma a volte un'etichetta immeritata e pesante può distruggere un'esistenza.

Il portiere del Vasco torna anche in Nazionale, collezionando la 20ª e ultima presenza con la Seleçao della sua carriera il 12 marzo 1953, nella vittoria per 2-0 ai danni dell'Ecuador, ma anche la sorte sembra avergli voltato le spalle. Spera infatti nella convocazione per i Mondiali del 1954 in Svizzera, sogna il riscatto personale, ma pochi mesi prima, in un derby fra Vasco e Botafogo, si rompe una gamba.

È il punto di non ritorno. Passano gli anni, ma a Barbosa non viene perdonato l'unico grave errore della carriera del portiere per il resto straordinario. Nel 1956 è ceduto in prestito al Bonsucesso e l'anno seguente passa al Santa Cruz, tornando poi al Vasco come titolare dal 1958 al 1960. Chiude con il Campo Grande, nel 1962, all'età di 41 anni. L'ultima partita la gioca l'8 luglio 1962.

"Dopo il fischio finale della partita contro L'Uruguay, ho pensato che quello fosse il giorno peggiore della mia vita. Il tempo ha dimostrato che invece mi sbagliavo, era nulla in confronto a quello che mi vale dopo. - diceva Barbosa, quando lo intervistavano - A partire dal 16 luglio 1950, sono disponibili in una striscia nera che apparentemente finirà solo con la mia morte. Da allora non si è più parlato della mia carriera. smesso di giocare quel giorno al Maracaña". 

Il suo nome è considerato sinonimo di sfortuna, dunque, in un Paese dove la superstizione regna sovrana e il razzismo non si è estinto, è additato al pubblico ludibrio ogni volta che viene riconosciuto.

"In genere il pubblico venera tutti i giocatori, il portiere. - scrive il giornalista e scrittore uruguayano Eduardo Galeano - Per il portiere non esiste perdono, né compassione, né pietà".

Si afferma inoltre la cosidetta 'maledizione dei portieri neri del Brasile', la leggenda secondo cui quando a difendere la porta c'è un estremo difensore di colore, il Brasile non vince mai i Mondiali. Purtroppo si è tramandata fino ai giorni nostri, visto che nel 2006, quando 56 anni dopo il Maracanazo un altro portiere di colore, Nelson Dida, difese la porta verdeoro, ma la Seleçao fu eliminata ai quarti.

"La conseguenza del suo sbaglio - scrisse il giornalista e storico Pauloherme, nel suo libro 'Goleiros' - fu il fatto rendere più difficile per i portieri neri la militanza in Nazionale e persino nei club".

Gilmar, Felix, Leäo, Valdir Peres, Carlos, Taffarel e Marcos, gli estremi difensori che succederanno a Barbosa, saranno tutti di pelle bianca. Sempre per superstizione, il Brasile non indosserà mai più la maglietta bianca usata contro l'Uruguay.

Il portiere del Maracanazo è così vittima dell'odio di un popolo, che si traduce per lui in emarginazione sociale. È come se, per i brasiliani, non fosse mai esistito pur essendo vivo e vegeto. Il Vasco, dopo il ritiro, gli offre comunque un posto da amministrativo al Maracaña, lavoro che ricopre per oltre vent'anni.

Vive assieme a sua moglie Clotilde, l'unica a restargli sempre accanto. Nel 1963, quando vengono sostituiti i pali in legno dello Stadio di Rio, Barbosa riesce ad avere quello del 'maledetto' goal di Ghiggia, e in un rito che vuole esorcizzare la maledizione ai suoi danni, lo brucia e usa il fuoco per un churrasco , la tradizionale grigliata di carne brasiliana.

Ma non servì a molto, e l'atteggiamento della gente nei suoi confronti non cambiò.

Quando anche l'avventura da dipendente del Vasco si esaurisce, Barbosa e sua moglie, non potendosi permettere un affitto troppo oneroso a Rio, si trasferiscono a Praia Grande. E quando l'amata Clotilde si ammala di tumore al midollo, spende nelle cure tutti i soldi che gli restano. Il Vasco, appreso delle ristrettezze economiche della legge, gli riconosce un obolo mensile di 700 dollari, con cui riesce a sbarcare il lunario.

Nel 1993, la 'BBC' prova a farlo parlare con i componenti del Brasile di Carlos Alberto Parreira, in ritiro per preparare i Mondiali di USA '94. L'incontro con Romario, Taffarel e gli altri allevierebbe probabilmente il della sua anima, ma il vice Mario Zagallo, che il giorno del Maracanazo prestava servizio per la sicurezza dello Stadio, riconosciutolo, gli di accesso agli alloggi dei calciatori della Seleçao.

"Meglio che non veda Taffarel, porta sfortuna", sosterrà.

Barbosa porta così il grande dolore per l'ingiusta emarginazione fino agli ultimi anni della sua esistenza. Quando nel 1997 il cancro gli strappa Clotilde, lasciandolo vedovo, la figlia adottiva Teresa Borba è l'unica a restare al suo fianco fino alla fine. Con lei trascorre qualche giorno felice, ma il Maracanazo continua a tormentarlo fino alla fine della sua esistenza.

"Ogni tanto - racconterà Teresa - poggiava la testa sulla mia spalla, piangeva diceva: 'Non sono io il colpevole, in campo eravamo in undici'".

Il 7 aprile del 2000, pochi giorni dopo aver festeggiato il 79° compleanno con sua figlia, un ictus si porta via per sempre il miglior portiere della storia del Vasco da Gama. Un campione 'cancellato' ingiustamente dalla superstizione e dall'odio che si riversò su di lui dopo quel 16 luglio 1950.

Dopo la sua morte Teresa con i tifosi del Vasco cerca di conservare viva la memoria di suo padre, le cui spoglie mortali sono state sepolte nel Cimitero municipale di Praia Grande a San Paolo. L'ombra del Maracanazo che tormentava Moacir svanisce, finalmente, l'8 luglio 2014.

Quel giorno, infatti, un altro Brasile crolla in casa per 7-1 contro la Germania di Löw. È la sconfitta di sempre per la Seleçao in un Mondiale, il nuovo Maracanazo a distanza di 64 anni dal primo. Teresa, come tutti i brasiliani, è dispiaciuta, ma poi sorride: 

"Da ieri notte molta gente sta dicendo che Barbosa era innocente. È stata 'lavata' la sua anima, - sottolinea - perché lui una vergogna del genere non l'ha mai vissuta".

I brasiliani, dopo averle fatto alcune promesse, si tirarono indietro all'improvviso.

"Dani Alves disse che aveva vinto la Coppa del Mondo l'avrebbe dedicato anche un mio padre. - rivelerà - Poi tramite conoscenti comuni ho avuto che aveva voluto invitarmi una partita. gli ho chiesto come mai prendesse tempo e se per caso non parlare più invitarmi perché aveva del fantasma di Barbosa. Che schifo….Adesso non prendetevela con Julio Cesar".

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